I numeri sulla bontà del progetto TAV della Valle di Susa sono spesso acriticamente valutati dalla politica e dalla stampa. Si parla troppo poco di costi-benefici (così come degli impatti sull'ambiente locale) e pochi dei fautori dell’opera ribattono con efficacia sui dati che i contrari impugnano. L’argomentazione ripetuta dai favorevoli, come un disco rotto, è che questa è un’opera prioritaria per il Piemonte e per la nazione intera e che non possono certo essere gettati al vento le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea.
Giorni fa, in una trasmissione radiofonica di
Radio24, solitamente di parte, ma spesso capace di fornire interessanti spunti al dibattito su varie vicende nazionali, come è quella curata da Oscar Giannino, mi sono imbattuto in un lucidissimo, semplice e per certi versi ineccepibile ragionamento economico di
Marco Ponti, docente di Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano, sulla questione TAV della Valle di Susa. Un’analisi non certo nuova in questo più che decennale confronto-scontro, ma stavolta possiamo dire che non era sbandierata da quei “facinorosi” della No TAV (vedi comunque:
www.notavtorino.org).
Il professor Ponti in estrema sintesi ha spiegato perché non considera per nulla strategicamente prioritario questo progetto tutto incentrato sul trasporto-transito delle merci, snocciolando alcuni dati che potrebbero approdare ad una differente analisi costi-benefici rispetto a quella che potremmo chiamare “del pensiero unico” vigente.
Ponti spiega che la linea attuale ‘porta’ attualmente circa 3 milioni di tonnellate all’anno di merci. Ne potrebbe anche arrivare fino a 20 milioni di tonnellate e per alcuni anche di più. Ma finora il traffico merci su quella direttrice è andato sempre calando, anche per l’autotrasporto, perché in effetti in quell’area con la Francia scambiamo molto poco. Forse questo traffico potrà anche salire nei prossimi due decenni, ha ipotizzato Ponti, anche se con questi tassi di crescita delle merci sembra veramente difficile. Va da sé che definire questa opera prioritaria è un vero azzardo.
Peraltro questa è la posizione anche delle stesse Ferrovie dello Stato, che in realtà non avrebbero nulla da perdere dalla realizzazione di questa grande opera, anzi.
Ma chi pagherebbe?Sappiamo che la disponibilità di denaro pubblico è molto scarsa e per questo per l’esperto di economia dei trasporti, il progetto è per così dire ‘ardito’ da questo punto di vista, visto che da quell’investimento i ritorni finanziari sarebbero nulli. Il costo dell’opera dovrà essere infatti pagato da tutti i contribuenti, a meno che non si vogliano mettere tariffe elevatissime e probabilmente proibitive.
E sulla annosa questione del rischio di perdere i fondi dell’UE? Per il professor Ponti perdere il contributo dell’UE se non verrà fatta la TAV è un aspetto irrilevante. Ma l’osservazione da fare, dice, è che invece non andremmo a sprecare tanto denaro dei contribuenti. Il precedente progetto aveva una stima di costo di 22 miliardi di euro, e l’Europa ne avrebbe forse messi due. Questo nuovo progetto costa molto meno e anche se l’UE mettesse sempre circa 2 mld di €, arriveremmo al massimo ad una copertura del 15% sui costi totali. Gli altri sarebbero di certo a carico della collettività.
Quante infrastrutture sarebbero più urgenti con questo denaro? Se i tassi di crescita del trasporto merci dovessero crescere a tassi elevatissimi, oggi impensabili, ci sarebbero almeno altre 30 opere più urgenti da realizzare, perché ben altre direttrici andrebbero in saturazione molto prima, sia di valico che non di valico.
Se si guardano i numeri dei flussi di merci internazionali, per Ponti i costi per il trasporto delle merci le imprese li affrontano nell’attraversamento delle aree dense, non certo sui valichi. Il 75% del traffico e dei costi per le imprese è dovuto alla congestione delle aree dense e metropolitane, con gli annessi problemi di inquinamento. Quindi è qui che occorrerebbe intervenire, dove i problemi esploderanno prima.
Ponti ha spiegato che la congestione è il maggiore indicatore della scarsità dell’infrastruttura rispetto alla domanda. Addirittura nel traffico di lunga distanza, i maggiori costi e le strozzature si hanno proprio nell’attraversamento delle aree congestionate, e non sui valichi.
Oltre agli interessi dei pochi, in questo paese si riuscirà prima o poi a mettere sul piatto anche qualche analisi più pragmatica e un dibattito più razionale?
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